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Ritratto di Pilota: Kevin Schwantz, il texano dagli occhi di ghiaccio.

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ks34_suKamikaze, testa calda, pilota impossibile… sono solo alcuni dei soprannomi che furono attribuiti a Kevin Schwantz. Io, però, ne preferivo un altro, probabilmente non troppo originale, ma a mio parere più adatto: “il texano dagli occhi di ghiaccio”.

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Sì, perché Kevin, per certi aspetti, mi ricordava molto Josey Wales, il pistolero solitario e fulmineo ad estrarre la pistola, protagonista del film capolavoro di Clint Eastwood che, di fronte ad un gruppo di soldati nordisti, deciso domandava loro: “Le pistole le tenete per ornamento o cosa?”. E questo, l’asso texano se lo chiedeva spesso, ad ogni gara. Perché solo lui sapeva far danzare a quel m
odo la sua “compagna”. Perché solo lui sapeva colpirti quando meno te lo aspettavi, quando ormai sembrava tutto già scritto. Perché solo lui sapeva esibirsi in spettacolari impennate ad un metro dal guard-rail nel pericolosissimo tracciato di Macao, salutando con una mano gli spettatori.

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Kevin, il campione divenuto prima mito e poi leggenda. L’uomo che  commosse il mondo del motociclismo quando, nel giugno del 1995, dalla sala stampa del Mugello, annunciò in lacrime il suo addio alle corse. Un mondo che tanto aveva amato e che solo in parte gli aveva restituito ciò che meritava: un solo titolo mondiale, quello del 1993, e tanti infortuni.

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Aspetto che il panico cresca, quando la paura si tramuta in visioni celestiali, inizio a staccare…“. La pensava così Kevin Schwantz quando correva. Ricordo ancora quel sorpasso su Rainey ad Hockenheim nel 1991, una staccata micidiale che non lasciò scampo al pilota californiano, che si vide soffiare la vittoria a poche centinaia di metri dal traguardo. In quel sorpasso c’era tutto Kevin Schwantz, il suo estro, il suo talento e il suo amore per quella Suzuki divenuta la sua compagna di vita.

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Un campione è tale quando i numeri parlano per lui, quando la gente parla di lui. Un mito è tale quando va oltre tutto questo, quando ti emoziona, quando ti fa piangere e quando ti lascia un vuoto incolmabile. Di campioni ce ne sono stati tanti e ce ne saranno ancora tanti, di miti no: pochi ce ne sono stati e ancor meno ce ne saranno.

In un triste sabato pomeriggio di metà giugno Kevin decise di andare oltre il mito, ci salutò e si elevò a leggenda (vivente) del motociclismo. In segno di rispetto per il suo campione, la Federazione Internazionale di Motociclismo decise di ritirare per sempre dalla classe regina il numero 34.

Quando Kevin Schwantz ha annunciato ad una folla incredula il suo ritiro dalle corse, si è creato all’improvviso nei presenti un grande vuoto che le lacrime non hanno saputo colmare. Il più grande pilota degli ultimi dieci anni abbandonava da uomo un teatro che aveva abitato da eroe, e solo la poesia della nostalgia e l’amore dei suoi tifosi lo riconsegneranno nel tempo all’Olimpo degli dei. Ma l’abbandono di Kevin Schwantz dalle corse, accaduto nel mese di giugno al Mugello, era già stato deciso durante il Gran Premio del Giappone a Suzuka quando il pilota Texano con la spalla, il polso e la mano doloranti capì che il tempo degli eroi era finito e cominciava l’era dell’uomo. Nessuno comprese e non poteva comprendere questo dramma … ma nella pioggia di Suzuka, in una giornata tenebrosa per la tempesta, qualcosa di meraviglioso avvenne. Loris Capirossi, piombato alle spalle di Kevin Schwantz, ignaro del dramma che si stava svolgendo nell’animo del pilota americano, intuì la verità. Kevin Schwantz, il cavaliere più amato dai tifosi, il pilota imbattibile nella pioggia e nei circuiti giapponesi, stava lasciando il motociclismo. Loris capì, conobbe in un attimo la tremenda verità. E quando con la ruggente Honda superò il rivale fra miriadi di spruzzi di pioggia, non poté impedire al suo animo di comandare al suo corpo uno dei più bei gesti della sua carriera di campione. Inchinato sull’asfalto infido e scivoloso, dolorante per la mano sinistra ferita gravemente in un incidente patito in Malesia 3 settimane prima, Loris alzò questa mano non tanto per scusarsi del sorpasso, ma per offrire a Kevin il dono della solidarietà vera, la solidarietà del nuovo campione che nasce, ad uno ancora più grande che lascia. Un gesto antico che ricorda la cavalleria dei tornei medievali dove forse la dignità dell’uomo era rispettata più di quella che si calpesta oggi ad ogni “piè sospinto”. La moto, il cavallo guidato da Capirossi, senza il comando della mano sfuggiva ad ogni controllo e buttava il pilota sull’asfalto bagnato e nel fango del bordo della pista.

Tutti con la mente prigioniera dei pregiudizi e delle apparenze gridarono all’errore, criticarono lo sbaglio, rimproverarono l’inesperienza, ma negli spruzzi di acqua sollevati dalla moto mentre pattinava impazzita nelle pozzanghere, nasceva inaspettato un arcobaleno che incantava perché si stagliava nelle tenebre di una giornata nera. E come raccontano le fiabe, l’arcobaleno, la luce dai tanti colori, nasce da una pentola d’oro e giunge ad un’altra altrettanto preziosa … E in quel giorno, nella sofferenza di Kevin Schwantz nasceva un arcobaleno che illuminava la cavalleria di Loris ed esaltava un gesto che solo i ciechi non hanno potuto o voluto ammirare e contemplare. Ma per fortuna i tifosi amano questi gesti, li capiscono, sanno che oltre alla matematica delle classifiche e delle apparenze ci sono le imprese esaltanti che fanno nascere l’arcobaleno nelle tenebre e fanno amare un campione anche quando cade o … lascia !

Fu con questa bellissima lettera che il dottor Claudio Costa, l’angelo custode dei piloti, decise di salutare Kevin Schwantz, il mito.

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